giovedì 23 settembre 2010

Nuovo blog

Causa censura, apro l'ennesimo blog.

cellrdoor.wordpress.com

domenica 5 settembre 2010

A momenti


ma io lascio che le cose passino e mi sfiorino, perchè non sono ancora in grado di comprenderle

Paolo Benvegnù

Ma si può sapere che ci faccio ancora qui? Ma si può sapere perchè vado via?

Qual è la verità sulla mia fuga? Che non è una fuga, lo è solo in parte. E' una proposta che non potevo proprio rifiutare, ma sono io che mi sono messa in condizioni tali da non poterla rifiutare, probabilmente.

Perchè appartengo ad un luogo lontano da qui. Non necessariamente la Cina, non mi immagino in quella terra a metter radici. E' una terra troppo argillosa, che frana troppo facilmente, che si espande e si ritira in maniera bizzarra.

Perchè non appartengo affatto ad un luogo lontano da qui, perchè sono cresciuta a pane e pomodoro e perchè non sono affatto un tipo così aperto e cosmopolita. Ma mi piacerebbe diventarlo sul serio, mica solo tanto per dire.

domenica 29 agosto 2010

I Bar Alcolici, 酒吧

Pechino è la capitale, ma in quanto a locali non credo raggiunga l'apice dell'eleganza.



Sicuramente, nella zona più ricca, presso Sanlitun, ma non proprio a Sanlitun (nel quartiere di Chaoyang, se vi trovate a passare), si possono trovare locali talmente di classe da sentirsi storditi. Una volta sono stata in un paio di questi locali, luoghi mitici in cui i prezzi dei cocktail si avvicinavano paurosamente a quelli europei e i cui interni sembravano disegnati ed arredati da architetti ed artisti d'avanguardia. Sembrava, ed era così. Immagino che New York sia piena di roba del genere, ma non sono mai stata a NY.



Pechino ne ha solo qualcuno, che è comunque piuttosto accessibile, bisogna solo munirsi di tacchi e qualche vestito più decente e ci si confonde tranquillamente con i miliardari che si recano lì a passare le serate libere.



Si tratta però di oasi di pace, in mezzo ad un caos infernale.



A pochi passi da questi locali infatti, nel medesimo quartiere, ecco Sanlitun, caratterizzata da una lunga via sulla quale affacciano locali molto tristi ed infimi. Su questa via danno altrettante vie, viottoli, strade senza uscita, sui cui affacciano altri locali. Grandi, piccoli, illuminati, buii.

La prima volta mi diedero un senso di desolazione.
Eravamo un gruppetto, forse non era orario, di certo non era un weekend, e i locali erano praticamente vuoti, con le ballerine stanche che si muovevano sulle passerelle. Lente, svogliate, a ritmo di gruppetti di cinesi che cantavano in playback. Tutto questo accade anche nelle serate migliori, solo che le ballerine aumentano, i gruppetti di cinesi si riattivano come quei pupazzetti dopo che hai dato loro la carica dietro la schiena, e la gente trabocca. Alcool, fumo, cattivo odore nei piccoli locali.
I bar più grossi sono come enormi discoteche, divise in sale e salette, più o meno private. E, come nelle discoteche, capita di vederci di tutto.
Orde di persone, di tutte le nazionalità, che si muovono sfatte a ritmo di una musica di bassa qualità ma di effetto sicuro, dopo qualche super-alcolico.
Coreane distrutte sui pavimenti, dormono.
Mucchi di cinesi, che non reggono l'alcol, sbattono la testa sui tavoli, altri invece si dimenano su passerelle improvvisate. Ma le donne cinesi non hanno senso del ritmo e non sono capaci di ballare, sembrano delle paperelle che saltellano, che si sbattono in preda al terrore. RIpetono quello che hanno visto in tv, con poca riuscita, si esprimono in coreografie collaudate a casa, davanti allo specchio, magari in quattro di loro, provate per ore in prospettiva del weekend. Alla fine qualcuna riesce anche a rimorchiare un ragazzo biondo o un ragazzo nero, che in teoria sono quelli con la carta di credito, ma non so se sia poi questo il punto.

Una volta sono capitata davanti ad una saletta piccola, buia. Non ho guardato, ma ne è uscito fuori un ragazzo cinese, correndo, diretto ai bagni, col fare di uno che avrebbe vomitato a momenti. Aveva lasciato la porta aperta e dentro ci avevo visto un gruppo di ragazzi, con una montagna di bicchierini vuoti sparsi sul basso tavolino al centro della stanzetta. Tutti semisvenuti sui divani in pelle.

Queste cose succedono ovunque, sia chiaro.
Ma è possibile che non si possa trovare un pub?

sabato 28 agosto 2010

Il tempo per partire

..il tempo di lasciare, il tempo di abbracciare.
Ricchezza e fortuna, in pena e in povertà.
Nella gioia dell'amore, nel lutto e nel dolore.

Ovunque proteggi, la grazia del mio cuore

Vinicio Capossela, Ovunque proteggi


Questa partenza è piuttosto diversa. Per una serie di motivazioni esterne e per una serie di motivazioni interne.
Ne risparmierò l'elenco completo, ma accennerò a qualcosa.
Parto per scrivere la Tesi, motivo per cui mi è stata concessa la Borsa. Avrò bisogno di viaggiare e avrò bisogno di stare tranquilla.
Posso assicurare già da ora i soliti casini, intoppi, imprevisti (ci sarà da ridere, tranquilli), ma spero di poter garantire anche altro.

La mia meta è una città che si chiama Wuhan e che si trova al centro della Cina, per questo motivo mi sarà piuttosto facile muovermi. A meno che non mi costringano a frequentare corsi di Arte e Design, il che in teoria non sarebbe nemmeno male, se non avessi anche altro da fare..

per ora sono tranquilla, non ho paura, non sono eccitata come la prima volta che partivo per un anno alla volta di un paese di cui, oramai, conosco un bel pò di cose. La questione è molto più profonda, difficilmente descrivibile con le parole che in lingua italiana designano le emozioni. Le cose andranno, rotoleranno giù, le spingerò su quando ci saranno salite, mi ci poggerò quando sarò stanca.

sabato 29 maggio 2010

Siete pronti?

Fra un pò si ricomincia.

martedì 9 febbraio 2010

..

A volte mi sembra che qualcuno mi segua. Mi giro, ma non trovo niente.
Bevo il mio tè cinese e non vorrei sentirmi come una che fa le cose tanto per sperare di trovarci un ricordo piacevole dentro, ma lo sono.
Cerco di tenermi impegnata, le giornate si susseguono grigie, piovose, abbondanti di cibo e parole. In Cina tutto era silenzioso, ad un certo momento della giornata
Mi affacciavo alla finestra enorme, luminosissima e guardavo il tizio affacciato a torso nudo, con la sua sigaretta tra le dita, che come me fissava da qualche parte. La strada stracarica di macchine, biciclette, persone.
Calava la notte, senza nemmeno accorgersene, sputacchiava un pò di arancione qua e là, tra la nebbia e il gelo e l'afa e poi crollava giù, ricoprendosi di tante lucette ad intermittenza.
Quell'odore amaro di attesa, di successo, di cibo fritto.
La casa era un porcile, il frigo era vuoto. Mi lasciavo andare con una consapevolezza che mi sembrava saggia, potente: non mangiavo. QUando sentivo lo stomaco soffrire ero sconfitta dall'impossibilità di trovare qualcosa che non mi facesse male, allora provavo ad evitare di mangiare.
Poi mi riprendevo, non ci pensavo. Scendevo in strada e afferravo una patata dolce dal mucchio, uno sguardo di sfida alla tizia che soppesava la patata e poi mi diceva 3 kuai. Troppo, per una patata dolce, niente per le mie tasche, abbastanza per il mio stomaco schizzinoso.

Una gita al mercato di fronte casa, a vedere i vestiti coreani tanto alla moda, tutti uguali, che si capiva lontano un miglio che erano coreani ma erano FIGHISSIMI, quindi bisognava averne almeno uno. Con una mano in tasca a toccare i 100 kuai da dedicare allo shopping, con l'altra tastavo le stoffe, i tessuti, cercavo le taglie, la bocca sempre socchiusa in un sussurro o aperta in una protesta. Mi saltavano, mi chiamavano, si complimentavano, li odiavo per la loro ipocrisia.

Ora Sofia mi ha chiamata.
In CIna all'inizio mi faceva strano che fosse così espansiva, così vogliosa di stare con me. Una cinese fuori del comune, con un'energia e una vivacità imbarazzanti. Ci sentiamo ancora, è qua in Italia, a ROma,
Mi ha appena chiamata dicendomi che è tornata in Italia dopo un viaggio a Parigi e chevoleva avvisarmi perchè io sono la sua famiglia qui in Italia.

Quando ero lì non c'era famiglia. Quando i miei arrivarono, nemmeno c'era famiglia. C'era far vedere che me la sapevo cavare, che la Cina non era poi così incasinata come sembrava, avevo il peso della responsabilità di un intero paese ogni volta che gestivo una comunicazione per conto loro. E' stato stancante, forse era la stanchezza che mi tirava giù il più delle volte.
Il non capire, la ripetizione, la convinzione di essere troppo scema e piccola per tutto quanto.
Il ricambio continuo di persone, le delusioni, gli amori, la fine. Uno per uno, tipo battaglia navale, tutti giù fino a che non sono rimasta sola, nell'accezione più bella del termine.
Non avevo più bisogno di nessuno. Non ne avevo mai avuto bisogno.
Caduto il muro di angosce, ecco che la Cina era casa mia ed ecco che
voglio tornare a casa.