martedì 11 agosto 2009

noi, i reduci ridicoli

Il giorno prima di partire sono andata a trovare gli ultimi rimasti per i saluti. Non c'era solo Daniel,sono stata piuttosto imprecisanel post precedente , c'erano anche un nugolo di ragazze, conoscenti più o meno intime, che sarebbero partite poco dopo di noi e con cui avevamo condiviso gioie ma soprattutto fastidi.
In particolare un gruppetto di tre ragazze che, arrivate tre mesi prima della fine, fresche e pimpanti, con la loro allegria, leggerezza e voglia di fare avevano sconvolto il nostro stanco e sfibrato gruppo di giovani vecchi. Nel bene e nel male.
Queste tre le chiameremo amichevolmente M, F e C.
Delle tre io, personalmente, conoscevo un pò meglio solo M, per vie più o meno indirette. Ci eravamo trovate per caso a parlare di letteratura ed è stato come riscoprire qualcosa che avevo buttato in uno sgabuzzino, troppo impegnata a tagliare liane con il mio machete e ad affrontare orribili mostri dagli occhi a mandorla.
Insomma, si è parlato un pò di quello di cui mi è sempre piaciuto parlare, e la cosa mi ha fatto piacere particolarmente M, che prima di allora era soltanto una dei milioni di figuranti della commedia pechinese.
in breve, le avevo affidato un compito importante e dovevo consegnarle delle carte. Ovviamente, dovevo anche salutare le tre ragazze, erano sempre state molto gentili ed affettuose, perfino con me.
Ma quello che volevo dire era che ci trovavamo a tavola e loro come sempre ribadivano con gli occhi e con la pelle quanto quei tre mesi non fossero bastati per viversi tutto come avrebbero voluto, e quanti viaggi avrebbero ancora fatto, per la Cina, se fossero potute rimanere. Io le guardavo materna.
Appena tornata da un viaggio sfibrante e magnifico nel sud, che mi aveva fatto scoprire( o riscoprire) una cina che pechino e le sue vicissitudini mi avevano fatto dimenticare anche solo di aver mai immaginato. Ero sull'orlo della fuga, avevo impacchettato tutto, detto addio a tutti, e a quelli che invece avevo lasciato dietro in Italia avevo promesso un ritorno atteso, pieno di affetto e calore. Avevo bisogno di tutto questo, era la mia pelle, brutta e cattiva, ad urlarlo.
Ma comunque le guardavo pensando che ero stata anche io così, dopo tre mesi. ed avevo anche passato i sei mesi, allo scadere del quali tre quarti della compagnia era tornata a casa e io e manuela invece avremmo affrontato altri lunghi mesi grigi. e non ci sopportavamo nemmeno.
dopo sei mesi torni a casa e ti penti di essere stata solo sei mesi.
dopo un anno ti senti come un reduce. un reduce ridicolo che sa che d'inverno ci si cura col miele e con quelle palle d'erba e quegli sciroppi amari. E sa che l'autunno è la stagione migliore, che la primavera dura poco ed è piena di simpatici pulviscoli saltellanti. Il reduce aspetta l'estate perchè vuole il sole, ma il sole non lo vedrà mai.
Chi ha letto questo blog sa più o meno cosa può succedere durante un anno, ma ovviamente non è solo questo. Mi viene da pensare alla voce con cui ho spiegato alle ragazze come ognuno di noi, da febbraio in poi, si sia beccato almeno una malattia d'ospedale. Per non parlare di infezioni, piccoli fastidi.
cose che ti fanno tornare almeno tre chili più pesante (come quasi tutti) o scheletrico (come me) e che ti fanno sentire come uno che è passato attraverso qualcosa di grande e crudele e che ne è uscito quasi indenne.
Ci penso quando risento qualcuno di quelli che come me è rimasto un anno. sono tutti felici di mangiare, bere, vivere e respirare. felici fino all'eccesso. per poi essere tristi, anche lì in maniera improvvisa, squarciante, come se mancasse un pezzo.
che sia la libertà o la forza dell'anticorpo che combatte il male e combattendolo si rafforza.